Pallacanestro: dalle realtà regionali ai campionati nazionali

di Max Cannalire

ERALDO, un altro passo, un'altra camminata. E non era facile, intuirne la grandezza come dirigente

 

Ha portato Riano dalla Serie D in C vincendo due volte il campionato, con un gruppo di grandi giocatori

 

Eraldo Bocci se n’è andato. Soltanto per passare, d’impeto, inatteso, in una differente dimensione. Perché chi ha avuto il piacere di trascorrere con l’uomo, il presidente anzi il Presidente - non mi pare, di averne visti tanti, negli ultimi 30 anni, nel Basket del Lazio -, l’appassionato e l’innamorato del suo paese, Riano Flaminio, ne avrà tratto giovamento dalla sua innata sincerità. Schietto fino al midollo, capace di attendere quell’uno, quei due secondi, degni di una pausa gassmaniana, prima di metterti in fila i suoi logici pensieri accompagnati dalle motivazioni. E’ stato un padre in gamba e un marito di raro spessore, consapevole che tutto l’ambiente lo avrebbe crocifisso, nel caso in cui il mio compagno di squadra nella Pallacanestro Riano poi diventata Lazio avesse avuto le mani di cartapesta e quadrate; e al contrario ha messo in fila Giampaolo dietro uno dei più efficaci playmaker visti sui campi laziali e di tutto il Centro Italia, Gabriele “Pancho” De Luca. Di una compagine probabilmente irripetibile, con Roberto Cerrino e Pino Danzi dato troppo presto a fine carriera, lui che era stato al Banco Roma, e quel pazzo scatenato di Massimo Panatta, tra i migliori talenti in assoluto al termine di un decennio in cui la Virtus, la “mia” Vis Nova e i rivali acerrimi della Stella Azzurra avevano rappresentato tre fari di un basket romano in giro per l’Italia. Sotto quello squadrone capace di vincere due campionati arrivando in Serie C. Tutto questo rappresentando un paese di 6000 anime, sì e no, c’era un gran bel settore giovanile che vedeva persone partire da Roma, come è capitato a me, dalla provincia viterbese e da parti meno centrali di Via del Corso. Tutto per giocare sul parquet che era anche un anzi il Centro Tecnico Federale. Finché una federazione di gente tutt’altro che preparata e lungimirante decise di rinunciare all’impianto di Via Tiberina dove ci aveva costretto a portare, ogni volta, l’acqua da fuori perché era quella del confinante Tevere, altrimenti.

Eraldo era ben più attento, per i ragazzi che mandava in campo, e per le persone delle quali si sapeva circondare. Aveva a che fare con avversarie di valore e, ogni tanto, con qualche furbetto capace di pensare che il prossimo fosse lì, pronto ad attendere le altrui arroganti prepotenze. Fosse una piazza blasonata da andare ad affrontare lontano dall’ex PalaBNL (come si chiamava il PalaRiano in precedenza), o in riva a Tevere e Tiberina. Compreso qualche inadatto arbitro che pensava di venire a fare lo sceriffo in casa nostra, pardon, sua.

Ed è stato uno dei rarissimi, il PRESIDENTE Eraldo Bocci, capace di andare contro alla sempiterna gestione Petrucci cancellando la squadra dal campionato per evidenti discordante con una federazione troppo impegnata a pensare alle singole carriere, di quanto non abbia saputo fare nel coccolare e tutelare realtà di paese e di territorio come è stata l’antenata dell’attuale Pallacanestro Lazio. Sbatté la porta e se ne andò, per dare un segnale. A un basket rimasto, ancora oggi, al Medio Evo, con presunti istruttori tra i quali ogni tanto eccelle il Casadio o il Paccarié di turno, o il Fabrizio Fabbri del miracolo-Petriana (e non è una battuta tendente all’irriverenza nei confronti delle alte sfere, per carità divina…), con qualche discreto arbitro o arbitra, e negli anni il Lazio ha saputo tirare fuori addirittura l’erede di un grande qual è stato Maurizio Martolini. Ma, soprattutto, ha fatto maturare più dei dirigenti da battaglia, che non un altro Eraldo Bocci. Il quale, al netto dei suoi errori, umani e gestionali, ha lasciato un serio, fermo, radicato e profondo seme, nella Pallacanestro. Adesso tocca alle generazioni successive, dimostrare che certe innovazioni sarebbe stato intelligente, accorto, e da persone all’altezza, incoraggiarle. Non arginarle. Perché rispetto alla Pallavolo il Basket non ha studiato, illuso dal titolo europeo ultimo vinto e da un argento olimpico. Il problema è che il movimento nazionale si è voltato dall’altra parte pure di fronte a uno del valore planetario di Dino Meneghin.

Tutto il contrario di quanto ha sostenuto, da sempre, Eraldo Bocci. Che diceva: “Chi è stato in campo o dietro una scrivania sa. Chi salta da una parte all’altra, cosa garantiesce?”. Lui aveva già, purtroppo, la risposta. Ma l’eredità che ci ha lasciato è stata bella, sul piano umano, metodica, dalla prospettiva di chi vorrebbe fare il perno di una società; persino interessante, dal punto di vista manageriale. Ecco, perché, oltre la riconoscenza personale di un allora 19enne al quale salvò la vita per un attacco di angina da petto, in mezzo al campo di Riano, oggi voglio abbracciarlo. Una volta di più, da AMICO, prima che da MASSIMO DIRIGENTE. Che scommise su un giovanotto uscito da Viale Manzoni e andato in giro per l’Italia e l’Europa, ad amare la PALLACANESTRO.

Eraldo per sempre. Tramite un semplice vocabolo, che penso di rappresentare, con il mio Dna. Più o meno fa così: RICONOSCENZA.