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Daniele Lupo

Nell’arena del beach volley

Di Valeria Barbarossa

Medaglia d’argento ai giochi olimpici di Rio 2016, Daniele ci racconta quella bellissima finale in cui lui e il suo compagno Paolo Nicolai hanno perso contro i brasiliani Bruno Schmidt e Alison Cerutti.
Una finale che ha visto gli italiani toccare un traguardo storico con carattere e maestria. Una semifinale conquistata contro i russi grazie alla tenacia e alle abilità tecniche che non sono però bastate davanti ai campioni del mondo. Ma ora si guarda avanti e si pensa ai mondiali.

Daniele come ti sei trovato a Rio?
Bene, anche se purtroppo non siamo potuti stare al villaggio con gli altri atleti perché i campi erano troppo lontani.
Nella finale, col senno del poi, che cosa avreste potuto fare di più?
Siamo soddisfatti comunque. Certo, un po’ di rammarico c’è… forse ce la saremmo potuta giocare meglio su qualche pallone ma è andata così e siamo consapevoli di aver raggiunto una grande traguardo.
Guardiamo avanti…
Sì, ci sono i mondiali a Vienna e siamo in piena attività per prepararci al meglio.
Chi temi di più?
Ci sono almeno quindici squadre che non vanno assolutamente sottovalutate. Stiamo lavorando molto per cercare di migliorare ancora.
Come vi state preparando?
Al momento, doppia seduta di allenamento tutti i giorni tranne il sabato e la domenica. Entrambi, poi, abbiamo un nutrizionista che ci segue ma la mia dieta è molto più tranquilla di quella di Paolo che tende decisamente ad ingrassare! (ride)
Come siamo messi con gli impianti di beach volley a Roma?
Devo dire abbastanza bene, ci sono molto strutture ma possiamo migliorare sicuramente.
Come ti sei appassionato al beach?
Grazie a mio padre e a mio fratello. Ad un certo punto mi sono stancato del calcio e ho cominciato a giocare sulle spiagge di Fregene.
Quindi non provieni dal volley.
No perché non amo gli ambienti chiusi.
Hai mai pensato di lasciare?
Mai! Nonostante ci siano stati momenti molto difficili.
La partita del cuore?
Ce ne sono tante ma sicuramente una che non scorderò mai fu la partita a Rio contro gli americani (persa al tie break contro la coppia Lucena-Dalahusser, ndr).
C’è un giocatore di cui invidi un requisito?
Sinceramente no, perché ritengo di avere un gioco diverso dagli altri. Sono molto tecnico, mi baso poco sulla potenza e più sulla furbizia.
Che cosa fai per concentrarti?
Ascolto musica di qualunque genere; è un ottimo ingrediente per isolarmi.
Hai dei gesti scaramantici?
Sono un po’ scaramantico ma non quando gioco a beach volley.
E quando?
Quando gioco a carte.
E a che cosa giochi?
Tre sette, poker, gin. Ah, e poi sono un appassionato di scacchi. Insomma, tutti giochi dove devo usare la testa.
Che altri sport segui?
Ho iniziato ad appassionarmi al paddle. Mi alleno al circolo Villa York.
Ti chiedi mai che cosa farai dopo?
Sicuramente continuerò a giocare e poi, forse, avrò una squadra mia… chissà!
Pensi che lo sport ti abbia tolto qualcosa?
No, anzi! Lo sport ti dà degli obiettivi, ti impegna… e poi per me ormai è un lavoro che mi appaga e soprattutto che mi piace: questo mi fa sentire particolarmente fortunato.