Pugilato - NATO SUL RING

Adriano Sperandio è in attesa del match per il titolo italiano dei pesi Medio Massimi rimasto vacante con Stefano Abatangelo. La serata in programma al Palazzetto dello Sport di Monterotondo Scalo è stata rinviata per il Coronarius.

Bisogna attendere ancora per la grande serata di boxe in cui si assegnerà il titolo italiano dei Pesi Medio Massimi rimasto vacante. Stefano Abatangelo, 37 anni torinese, e Adriano Sperandio, 32 anni romano, continuano ad allenarsi duramente pensando a quel giorno. Sono professionisti e sono coscienti della situazione. Hanno iniziato la preparazione a fine gennaio e dovranno ora rimodulare gli allenamenti ma il pensiero è sempre focalizzato al momento in cui saliranno sul ring per combattere uno contro l’altro. 

Sperandio vive e si allena nella palestra Red Gym di Via delle Molette a Fonte Nuova, pochi passi dai campi di golf che ospiteranno la Ryder Cup. Adriano è seguito dal padre Paolo e dal preparatore atletico Donato Domenicone. 

La prima fase di allenamento, chiamata “di volume”, è durata circa 30 giorni poi le sedute diventeranno di nuovo più tecniche e tattiche. Una routine che si ripete per ogni incontro con grande precisione, senza cambiare nulla. Il pugilato è fatto anche di queste cose. Percorsi mentali da seguire. Sono questi i momenti in cui un atleta cerca le sue sicurezze e il giusto approccio mentale per il match.

Una passione che si tramanda da padre in figlio, Adriano è praticamente nato sul ring. Aveva soltanto quattro giorni infatti quando, appena uscito dall’ospedale, il papà lo portò nella sua palestra e gli fece toccare il sacco.

“Mio padre non voleva che diventassi pugile, sono stato io a rimanere coinvolto da questa grande passione. Ho iniziato con Roberto Ferri, un suo ex pugile che ora ha la palestra alla Bufalotta. All’inizio facevo soltanto pre-pugilistica e non pensavo assolutamente di salire sul ring ma poi mi hanno proposto i primi incontri e la cosa mi è piaciuta. A 14 anni mi hanno chiamato in nazionale e mi sono ritrovato in questa vita. Avevo una buona scherma e tecnica. Mi misi subito in evidenza. Ai Campionati Italiani arrivai in semifinale e il maestro Brillantino – lo stesso di Clemente Russo - mi volle nel gruppo degli azzurri. Ero giovanissimo, il più piccolo, un bambino. Il primo ritiro a Foggia fu un bell’impatto perché gli altri pugili erano tutti molto più “scafati” di me. Per due o tre anni sono rimasto fuori dal giro della nazionale poi ci sono tornato quando ho vinto i Campionati Junior nel 2006 e due anni più tardi il Guanto d’Oro, un torneo a invito per gli 8 migliori pugili. Nel 2012 ho vinto gli Assoluti e l’anno seguente ho perso in finale alla seconda ripresa perché l’avversario si era ‘aperto’. Era il primo match con le nuove regole, i dilettanti non dovevano usare più il caschetto ed erano state abbandonate le macchinette olimpiche per contare i colpi. Tutti a giudizio come i professionisti. Una rivoluzione. Nel 2013 sono stato chiamato a partecipare alle World Series, un torneo mondiale tra il dilettantismo e il professionismo. Un bellissimo progetto con match sulle cinque riprese, la nostra squadra era Dolce e Gabbana - Milano.”

 

Quando c’è stato il passaggio definitivo al professionismo?

“Roberto Cammarelle mi indirizzò verso un nuovo campionato pro appena nato e aperto a tutti. All’inizio andò molto bene ma poi, non essendoci un regolamento preciso, tutti volevano vincere e ognuno si organizzava da solo gli incontri più “facili”. Così io rimasi senza avversari per sette mesi. Successivamente sono passato con Davide Buccioni e ho iniziato la mia scalata per arrivare al titolo italiano.”

 

Cos’è la boxe per te?

“E’ la mia vita. Ho cominciato per seguire mio padre ma poi è diventata una realtà. Mi piace frequentare la palestra e avere un rapporto con i ragazzi che vengono ad allenarsi. Ti guardano in maniera speciale. Non tutti diventano pugili e salgono sul ring ma non importa. A loro dico sempre di cercare di non prendere troppe botte. Questa è la cosa più difficile da fare ma anche l’essenza del pugilato. Sarebbe ipocrita dire che non c’è violenza nella boxe ma per combattere ci sono delle regole che sono accettate e rispettate. Da piccolo mi faceva paura ma poi sono cresciuto.”

Il tuo pugile di riferimento?

“Ray Sugar Leonard, per me lui è il pugilato. Tecnico, elegante, veloce, campione olimpico e mondiale in cinque categorie”.

Quella di Monterotondo per il titolo italiano sarà una serata speciale.