teatro

Enrico Guarneri

In scena col Consiglio d’Egitto, ci racconta qualcosa sull’Italia di oggi.

Il Consiglio d’Egitto: una delle opere più importanti di Sciascia, ma ad oggi non molto conosciuta. Perché l’avete scelta?
Anche se la sua opera più nota è Il giorno della Civetta, Il Consiglio d’Egitto ha una più forte valenza psicologica e un’interessante ambientazione storica (la storia si svolge infatti a metà ‘700) che volevamo portare sul palcoscenico.
Già nel ’93 è stata portata a teatro da Guglielmo Ferro. In che rapporto è l’odierna rappresentazione con il precedente adattamento?
Credo molto nelle riprese da parte di certi registi di lavori già fatti decenni fa, perché un buon regista e un buon artigiano non può che migliorare con la maturazione. Si può snellire quello che si è fatto vent’anni prima, arrivando al nocciolo, ed avere così un’opera più godibile.
C’è, nella storia dell’impostura architettata da Giuseppe Vella e in quella del martirio del patriota Paolo De Blasi, un qualche riferimento all’attuale situazione italiana?
Credo che tale riferimento ci sia di massima per certi ceti sociali che pagano sempre e la pagano anche cara. Sugli individui non so. Penso che alla fine riescano sempre a farla franca o a essere appena sfiorati da quello che dovrebbe essere il giusto castigo.
Cosa c’è nel personaggio di Giuseppe Vella e nel suo fortuito incontro con l’ambasciatore Abdallah, da cui scaturisce la sua fortuna, che ti colpisce? Cosa può mostrare questo personaggio al pubblico odierno e qual è il tema che viene toccato?
La cosa che salta subito in mente è il carpe diem. Vella coglie l’attimo con grande rapidità e ha così l’opportunità di sbancare il lunario, di mangiare tre volte al giorno, di leggere libri e di dormire sulle lenzuola. La cosa che prima gli riusciva a caro prezzo, visto che doveva vivere a casa della nipote, tra cinque bambini urlanti e il di lei marito ubriacone. Poi (anche con la saltuaria rappresentazione con l’Avv. di Blasi) si sviluppa in lui questo rancore nei confronti di quelli che avevano sempre mangiato e sempre comandato. Così imbastisce questa fantastica impostura che era il Consiglio di Sicilia e poi il Consiglio D’Egitto poi, libri che volevano spiegare come la nobiltà siciliana si era impossessata dei feudi e delle terre usurpandoli alla corona. Inoltre, in tal modo Vella guadagna la simpatia della Corona, e così ha il tornaconto nel fatto che il Re gli assegna un’abbazia. C’è il tornaconto del singolo incastonato all’interno di una motivazione ben più nobile.
Paolo De Blasi, patriota, avvocato e infine martire. E’ un caso che alla fine della storia sia lui a pagare per tutti?
No non è un caso perché la storia ce lo insegna e ce lo dimostra. Riferendomi ai tempi odierni, allargherei il pensiero. Oggi non c’è più la vittima al singolare, ma ci sono le vittime che spesso si incarnano nel gradino più basso della società, che va a pagare per le ruberie dei potenti.
Cosa ci vuole trasmettere Sciascia con l’ironia di fondo di questa storia?
L’ironia è insita nella penna di Sciascia. E’ importante affrontare la vita, specialmente le situazioni più gravi, con una punta di ironia.
Che tono avrà invece il vostro adattamento?
Sarà ironico a larghissimi tratti e in altrettanti momenti molto poetico.
Il Consiglio d’Egitto, invenzione del Vella, come mezzo per legittimare la Corona, che quindi si basa su un grande raggiro. Siamo ancora vittime di questo inganno?
Si. È ancora così. Un giorno dopo l’altro. Ce lo dice la Tv e la Stampa. Non è un caso che la Questione lucana del petrolio. E chissà quante ce ne sono ancora di situazioni del genere, ancora nascoste. E, quando vengono fuori, ci rendiamo conto sempre dell’inganno di cui siamo stati vittime per mano di una piccola schiera di persone.