musica

Il ritorno del vinile! 

di Marco Oddino

Nel panorama alquanto desolato della musica moderna, in cui gli appassionati si recano ancora assiduamente a vedere i concerti ma i dati di vendita - siano essi CD o files digitali - sono rappresentativi di un trend di consumo assai negativo, il 2015 appena trascorso verrà tuttavia ricordato per un dato significativo, è l’anno della riscossa del vinile. Nel 2015, infatti, il fatturato generato dalla vendita di “vecchi” supporti in vinile ha superato i dati di vendita ottenuti dallo streaming o dalla commecializzazione dei Compact Disc.
La fetta di mercato occupata dai vinili è ancora piccola (il 3%), ma la nicchia sembra destinata a ingrandirsi e il fenomeno è globale. Basta vedere i dati di alcuni mercati fondamentali: nel Regno Unito il fatturato del vinile ha raggiunto l'anno scorso 20 milioni di sterline, per 1.2 milioni di unità vendute (dati Official Charts). Mentre negli Stati Uniti i dischi venduti sono passati nell'ultimo anno da 6.1 a 9.2 milioni (dati Nielsen SoundScan). In sintesi, non si tratta esclusivamente di una moda o di un fenomeno passeggero. Certo, i dati citati rappresentano piccole percentuali, ma collocate in un contesto in cui la vendita di musica in supporti fisici è complessivamente in calo (-5% solo in Italia nel 2014). Il ritorno e la popolarità commerciale  del vinile si nota anche nella diffusione sempre più capillare dei riproduttori di musica dedicati a questo formato: i giradischi, fino a pochi anni fa confinati quali oggetti del desiderio dei soli audiofili, nostalgici o collezionasti più esigenti, o alla peggio divenuti reperti da soffitta, sono tornati nei negozi di musica anche con modelli entry-level, accessibili quindi anche ai giovani che si affacciano per la prima volta al variopinto mondo del vinile.
Facciamo quindi una chiacchierata con un collezionista e dealer tra i più affermati in Italia di dischi, Luciano Di Tanna, per approfondire alcuni aspetti legati al prepotente ritorno del vinile.
Luciano quali sono i punti cardine dai quali un collezionista non può prescindere?
Un collezionista innanzitutto compera principalmente stampe originali. Le ristampe sono al di fuori del suo ambito di interesse, con la sola eccezione di dischi estremamente rari e di difficile reperibilità nel mercato. Uniche eccezioni possono essere alcune stampe audiofile o di alta qualità di incisione come le stampe giapponesi. Oggi online o nei negozi circolano tante ristampe perché il vinile è tornato di moda. Molti ragazzini riesumano il vecchio hi-fi dei genitori o si fanno regalare quello dei nonni o degli zii. Tutto ciò è molto bello ma le ristampe attuali dei vecchi classici - quelle, per capirci, che spesso si trovano a prezzi contenuti su Amazon o nei centri commerciali - sono spesso di qualità sonora molto deludente. Buona parte sono, infatti, masterizzate da file audio digitali (CD o altre fonti). In tal caso il vinile diventa un mero feticcio, tocchi con mano la cover, hai i testi, leggi le liner notes del disco ma hai un supporto totalmente svuotato di significato. Per questo consiglio sempre di andare a cercare le stampe di un tempo, se ne trovano tante in giro, hanno un suono analogico e spesso costano meno delle ristampe. Altro cardine essenziale per chi vuole cominciare a collezionare seriamente sono le condizioni dei dischi. Un collezionista punta a dischi sempre in perfette condizioni sia con riferimento alla copertina che al disco in vinile, complete di inserti, buste interne, eventuali poster, etc.
Che dischi collezioni?
Colleziono numerosi generi, data la mia indole “onnivora” in materia musicale. Innanzitutto indie-rock, alternative e grunge anni 90. Non si tratta di dischi di facile reperibilità e alcuni hanno quotazioni molto alte. Sono, infatti, molto ricercati data sia la loro qualità artistica che il fatto che quell’epoca è il periodo di maggiore depressione commerciale del vinile (sono gli anni del boom del CD in cui si stampavano pochissimi dischi e in pochi mercati). Poi colleziono i classici del rock e della psichedelia anni 60 e 70 (Pink Floyd, Led Zeppelin, Jimi Hendrix, The Who, etc.) soprattutto nelle belle e ricercate stampe inglesi dell’epoca. Da una decina d’anni ho cominciato inoltre anche a collezionare jazz americano. Il meglio di fine anni 50 e anni 60. Soprattutto labels come Blue Note e Impulse, li colleziono per la splendida musica che vi è incisa, la qualità dell’incisione (la maggior parte sono stati registrati dal mitico fonico Rudy Val Gelder) e last but not least la bellezza delle copertine e la qualità manufatturiera del prodotto (vinile pesante anche oltre i 200 gr. E copertine cartonate spesse e laminate). Ho un debole soprattutto per le edizioni originali Blue Note, purtroppo difficili da trovare in buone condizioni, le cover di molti di quei dischi rappresentano non solo capolavori musicali ma anche di grafica, grazie all’accostamento originalissimo per l’epoca - stiamo parlando di fine anni 50/primi 60, ma sono modernissime anche oggi - di immagini, testi e colori vivaci, il tutto composto in lay out molto fantasiosi.
Ci puoi raccontare qualche aneddoto interessante relativo al collezionismo discografico?
Ce ne sono tanti. Come in tutti i campi dell’arte e della manifattura il collezionismo talvolta rasenta la follia e quello dei dischi non fa certamente eccezione, anzi. Ve ne racconto uno molto recente e relativo a uno dei gruppi più collezionati e ricercati, i Beatles. Il loro disco omonimo del 1968, noto a tutti come “The White Album”, nella prima tiratura di copie della stampa inglese ha la particolarità che ogni copia è numerata con un codice di 7 cifre. Più bassa è la numerazione e più si accresce il valore collezionistico di quella copia. Il dato certo relativo al White Album che è sempre circolato negli ambienti discografici, è che le prime copie in assoluto del disco nella sua versione MONO con i numeri seriali finali 1/2/3/4, fossero state consegnate a ciascun membro della band. Difatti la copia con numerazione più bassa apparsa nel mercato è stata la n. 0000005, venduta nel 2008 alla modica somma di 30.000 $. Ebbene, si supponeva che la numero 1 (quella quindi con il valore collezionistico in assoluto più elevato) fosse nelle mani di una delle due “primedonne” del gruppo, o Paul McCartney o degli eredi di John Lennon. Poi qualche mese fa è spuntata la notizia che Ringo Starr aveva deciso di “ripulire” un pochino i suoi archivi ed armadi, mettendo all’asta per finalità benefiche molti cimeli dei Beatles. Nel lotto spiccavano per importanza la batteria Ludwig comprata da Ringo nel 62 ed utilizzata nelle registrazioni di molte delle prime hit del gruppo (poi battuta all’asta all’incredibile cifra di 2,2 milioni di $ pagati dal proprietario degli Indianapolis Colts Jim Irsay, noto collezionista di memorabilie musicali) e, udite udite, la copia n. 0000001 del White Album (alcune foto di questa copia corredano l’articolo)! La stima di vendita finale fatta dalla casa d’aste si aggirava sulla prudente cifra di circa 50,000 $, naturalmente alla fine surclassata dal bid finale che ha consentito all’anonimo e fortunato collezionista di aggiudicarsi il disco per l’incredibile cifra di 790,000 $.
Quali fonti utilizzi per l’acquisto dei dischi?
Online, come tutti, Ebay e Discogs principalmente ma anche Facebook. Anche se prediligo il vecchio approccio “fisico” al disco. Quindi negozi e fiere del disco a Milano, Roma e in tutta Italia. Ma la cosa che prediligo è unire all’acquisto dei dischi un’altra grande passione personale, viaggiare. Stati Uniti, Inghilterra e Giappone sono le mie mete predilette. Le prime due per la possibilità di trovare stampe originali spesso a prezzi non esorbitanti ed il Giappone per l’incredibile cultura discografica di quel paese. Negli anni 70 ed 80 i giapponesi hanno stampato un grande numero di edizioni di dischi di musica occidentale e le loro stampe sono molto ricercate per l’altissima qualità di incisione e cura nella realizzazione del packaging (con obi, inserti, testi, etc.). Tokio è forse l’ultima città nel mondo che vanta ancora un numero impressionante di negozi di dischi, centinaia, mentre da noi in occidente la maggior parte dei negozi hanno chiuso i battenti e rare sono le nuove aperture. A proposito, sono in partenza per il mio primo viaggio dedicato esclusivamente all’acquisto di dischi, proprio in Giappone, potete seguire le mie avventure di vinyl hunter alla pagina facebook The Vinyl Traveller, se cercate qualche disco in particolare o volete qualche indirizzo imperdibile in città non esitate a scrivermi.
Come possono contattarti i nostri lettori?
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