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Gigi Di Biagio

Lavorare seriamente e mai promettere

di Valeria Barbarossa - photo FIGC

Da calciatore ha militato nella Roma, nell’Inter, nel Brescia. Dal 2013 allena la Nazionale Under 21. Carismatico, tenace e dalla personalità istintiva. Con grande spirito di osservazione porta avanti le sue idee ma fa tesoro degli esempi avuti da giocatore. 
Appena tornato dalla partita che ha visto l’Italia battere la Slovenia per 1-0, il tecnico romano ci racconta le evoluzioni che lo hanno portato a diventare allenatore. E alla fine lancia un monito…

Soddisfatto della partita?
La prima a settembre è sempre un po’ complicata perché iniziamo il campionato più tardi rispetto alle altre squadre; comunque è andata bene.

Com’è nata la passione per il calcio?
È sempre stata dentro di me sin da piccolo. Sotto casa non si faceva altro che giocare a calcio. Nel quartiere testaccio, dove sono nato, passavamo giornate intere all’oratorio con il pallone. Poi dai nove ai diciotto anni ho giocato nelle giovanili della Lazio. È iniziato come un gioco e poi per fortuna è diventato un lavoro. Un sogno che si è avverato.

Le qualità che ti hanno contraddistinto?
Tecnica calcistica a parte, la serietà e la voglia di migliorarsi. I sacrifici poi accompagnano un giocatore ad arrivare ai massimi livelli. Ho sempre ritenuto che ha la meglio un giocatore meno raffinato tecnicamente ma con cervello su uno talentuoso senza testa. Non ne faccio solo un discorso calcistico ma anche di vita.

I tuoi difetti?
Sono molto istintivo. Ho cercato di migliorarmi con il passare del tempo e in parte penso di esserci riuscito visto anche il mio cambio di ruolo. È necessario col tempo diventare più ponderati nel giudicare e nel valutare.

La partita più bella che ricordi?
Un preliminare di Champions League, Inter-Sporting Lisbona dove segnai un gol e passammo il turno. Dall’altra parte c’era un giovanissimo Cristiano Ronaldo diciottenne. Una partita che ricordo con grande piacere. 

La peggiore?
L’Europeo del 2000. Abbiamo perso al 93esimo minuto la possibilità di diventare campioni d’Europa. Vincevamo 1-0 contro la Francia che poi ci batté al golden gol. Un ricordo che mi rammarica molto. 

Com’è adesso stare dall’altra parte?
Totalmente diverso. Un allenatore deve gestire oltre venti giocatori, lo staff tecnico, l’intera organizzazione. Una tensione vissuta a 360° rispetto al giocatore anche se, personalmente, da calciatore ho sempre vissuto il gruppo interessandomi a tutto ciò che accadeva dentro e fuori dal campo. È una caratteristica tipica dei centrocampisti quella di osservare ogni cosa e forse il motivo per cui l’ottanta per cento dei tecnici ha ricoperto quel ruolo. 

Ora comprendi meglio certe scelte dei tuoi allenatori che hai disapprovato in passato?
Anche se stavo in panchina non mi sono mai lamentato. Cercavo di leggere la cosa in maniera costruttiva senza mai confrontarmi con il mister sul perché della sua scelta. L’ho sempre rispettata, forse perché già ragionavo con la testa da allenatore. 

Il tuo esempio?
Non ce n’è uno in particolare; ho rubacchiato da tutti quelli che ho avuto: Zeman, Mazzone, Trapattoni, Lippi, Capello. Ho preso da tutti qualcosa ma poi sono andato avanti con le mie idee. Non credo esista un allenatore ideale. Riconosco però che tutti avevano carisma e una grande capacità di gestire il gruppo.  

Un errore che un allenatore non dovrebbe mai fare?
Fare promesse. Perché le cose possono cambiare in un attimo. Bisogna cercare di essere sempre leali e trasparenti ma promettere è pericoloso. 

Un errore che un giocatore non dovrebbe mai commettere?
Pensare di essere diventato giocatore e di essere arrivato. 

Allenatori di oggi e di ieri?
È cambiato il modo di pensare dei ragazzi. Un Mazzone diventerebbe matto solo nel vedere certi tagli di capelli! Dobbiamo cercare però di non commettere lo sbaglio di pensare che prima era meglio. Era diverso. Non si può fare un confronto. Io stesso tante volte non comprendo certi atteggiamenti ma cerco di essere malleabile e di capire. Quando giocavo c’era il massimo rispetto e non volava una mosca, oggi i ragazzi sono un po’ più “esuberanti” se vogliamo usare un termine diplomatico...

Le nazionali italiane nello sport in generale non stanno passando un bel periodo. Perché?
Fondamentalmente non ci sono strutture importanti. Nel calcio, ad esempio, tante società di Lega Pro e Serie B faticano a trovare i campi di allenamento, gli stadi, hanno docce senza acqua calda. In Germania, Olanda, Inghilterra ci sono stadi da 10-15.000 posti e sono bellissimi. Qui siamo un po’ indietro.