Sport

Il tennis che vorrei

A Modena e Verona si sfidano quattro maestri di un tennis perduto, più vero e spettacolare, rimasto nel cuore degli appassionati. Leconte, McEnroe, Noah, Wilander: chi vincerà "La Grande Sfida"?

di Giuliano Giulianini

L'americano ha 56 anni, gira il mondo, scrive libri, va ospite in tv; lo svedese, 51enne, fa il golfista amatoriale; uno dei francesi ha 55 anni, fa il cantante e ha un ristorante; l'altro ha 52 anni e fa il commentatore in televisione: si incontreranno a fine novembre per sfidarsi a tennis. Descritta così sembra una rimpatriata tra amici che si giocano la pizza e l'onore, ma i quattro in questione non sono proprio dei dopolavoristi, e non si sfideranno sul campo di un circolo ma in due palazzetti dello sport molto probabilmente gremiti al massimo. Gli sportivi di Modena, Verona, e chissà quante altre città d'Italia, accorreranno infatti a vedere Leconte, McEnroe, Noah e Wilander (in rispettoso ordine alfabetico) impegnati ne "La Grande Sfida 4" (www.lagrandesfida.net), non per un revival nostalgico, ma per tornare indietro nel tempo, per assistere a un tennis "perduto", spettacolare e tecnico, dai colpi meno potenti e meccanici, permeato di poesia e fantasia. Un gioco che viveva di serve and volley e passanti, di attaccanti contro pallettari, di lob e stop volley, di parolacce, insulti agli arbitri, sfide epiche e grandi istrioni, tutto per il visibilio degli spettatori.
Yannick Noah era forse il più atletico dei quattro: un fisico da quattrocentista caraibico per un tennista francese tutto dinamismo e acrobazie. Inventò il "Colpo Noah", il passante tirato con la racchetta tra le gambe dopo aver inseguito verso il fondo campo il pallonetto dell'avversario. a sentir lui ne inventò due di colpi Noah, quello vero: "è lo smash saltando a piedi uniti. L'ho visto fare a Sampras e Roddick, ma il brevetto è mio"... vero. Qualche anno fa, ormai dedicatosi a cantare e a gestire un ristorante ai caraibi, balzò di nuovo alle cronache per aver adombrato il doping diffuso nel tennis sull'onda dei casi spagnoli; fu fortemente criticato dal suo ex ambiente. Ormai però lui era felicemente fuori dal circo del tennis, uno sport evoluto in qualcosa di diverso dai suoi tempi: "Non posso compararmi a questi ragazzi - ha dichiarato di recente il francese più vincente di sempre con una racchetta in mano - non facciamo nemmeno lo stesso sport. Se giocassi contro Djokovic il mio miglior tennis di trent'anni fa, con le racchette dell'epoca, lo batterei agevolmente 6-0 6-0 6-0". Questo torneo non lo gioca comunque da ex sportivo, perché poco più di un mese fa è stato richiamato dalla Federazione Francese per guidare la squadra transalpina di Coppa Davis maschile; l'aveva già portata due volte alla vittoria da capitano non giocatore negli anni '90.
Un fisico meno notevole non impedì a Mats Wilander di eccellere nel circuito: "Secondo soltanto al suo connazionale Borg per doti podistiche, imbattibile oltre le quattro ore di gioco", nelle parole di Gianni Clerici tutte le qualità dello svedese definito metodico, freddo, calcolatore, da chi lo apprezzava, noioso, soporifero, pallettaro, dagli altri. Cresciuto nel mito di Borg, Mats era meno talentuoso (ovviamente) e vincente, ma i "malati" di tennis degli anni '80 apprezzavano la sua tecnica pulita, la dedizione al lavoro e la tenacia che si traducevano in sfide e palleggi infiniti. Con queste doti vinse sette tornei dello Slam, salì in cima alla classifica finale e ci restò per 20 settimane. Nel 1988 sfiorò il Grande Slam: 3 su 4; sarebbe entrato nella leggenda ma vincere sull'erba di Londra non era proprio il suo mestiere. Comunque non una carriera qualsiasi, come si riconobbe lui stesso: "Non sono Borg due, sono Wilander uno!".
Neanche Henri Leconte sarà ricordato per il suo fisico da atleta. Non bello, non prestante, le ragazzine non gli correvano dietro (per lo meno non come a Connors o Borg), sembrava più un capoufficio a fine giornata, con quei suoi gilet eleganti sopra la polo. Ma la palla sapeva toccarla come pochi e il suo gioco era fantasioso e vario. Ci si divertiva a guardare Leconte. Di lui Boris Becker, uno che è arrivato come un caterpillar a spazzar via i cesellatori della racchetta, ha detto: "Henri fa colpi che non esistono. Sa essere incredibile, e ti fa sentire come un raccattapalle". Un palmares non di primo piano il suo (9 titoli in singolo e 10 in doppio, nessuno Slam) ma una perla rilucente: la Coppa Davis conquistata a Lione nel '91 contro gli USA, grazie a due sue vittorie, in doppio in coppia con Forget e contro un giovane Sampras in singolo.
Indubbiamente il più atteso del torneo è John Patrick McEnroe: se non il più forte, sicuramente il più memorabile giocatore di ogni tempo. Amato, odiato, osannato, bistrattato per le stesse ragioni: il suo incredibile talento e il suo incredibile carattere, entrambi fuori dagli schemi e da ogni controllo, compreso il suo. I tre Master, i tre Wimbledon, i quattro US Open, le 170 settimane da Numero 1 non bastano a qualificarne la grandezza. La sua finale dell'80 con Borg a Wimbledon è ricordata come una delle migliori partite di tennis di sempre. La perse ma non è molto importante. Irascibile, manesco (contro le racchette e le suppellettili a bordo campo), nervoso e insofferente tra un punto e l'altro, quanto leggiadro, delicato, poetico e letale tra il servizio e la fine dello scambio: "Se fossi un po più gay di quello che sono, mi farebbe piacere essere accarezzato dalla volée di McEnroe" declamò Clerici una volta. La buona notizia per chi andrà a "La Grande Sfida" è che McEnroe gioca ancora così. Non a caso è il primatista del Champions Tour con 20 titoli: il talento non invecchia mai.
Venerdì 20 novembre il Pala Olimpia di Verona ospiterà le semifinali tra i quattro pretendenti a questa tappa dell'ATP Champions Tour, mentre due giorni dopo, domenica 22 il Pala Panini di Modena sarà teatro delle finali per il primo e terzo posto. I quattro ex campioni sono ancora in forma: non è un torneo di pensionati ma di atleti senior, un "champions tour". Insomma sarà tennis d'altri tempi ma non vetusto, con campioni d'altri tempi ma non vecchi. Sarà spettacolo? Ci si può giurare. Come dice Noah: "Quando ci sono 10.000 persone e le televisioni a guardarti, siamo tutti attori. C'è il tipo serio, c'è quello che grida sempre contro l'arbitro, quello che non dice mai una parola, quello che fa il pagliaccio", e in campo per "La Grande Sfida" ci saranno tutti e quattro.

 


 

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