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Luca Barbarossa

Fotografando il mondo con la parola

di Valeria Barbarossa

Il cantautore romano ripercorre il suo viaggio nella musica: da artista di strada al palco di Sanremo. Il suo sguardo è sempre stato attento a catturare spaccati di vita, situazioni, contesti che ha riportato nelle canzoni attraverso un linguaggio e un’interpretazione unica nel suo genere.
Uno scrittore di vita. Un poeta i cui versi esprimono le emozioni più istintive e incontaminate. Un uomo gentile in perenne contatto con un mondo che racconta con profonda semplicità e straordinaria sensibilità.

Luca che bambino sei stato?
Sono stato un bambino felice. L’unico dispiacere fu la separazione dei miei genitori che all’epoca non era così usuale. Mia mamma si risposò con il papà di due mie amichette e così passai dalla condizione di figlio unico, a figlio con sorelle acquisite. Poi è arrivato un fratello e ancora un altro fratello dalla parte di papà… insomma dei precursori della famiglia allargata!
A che età ti sei appassionato allo sport?
Ho iniziato a giocare a tennis abbastanza presto. Ero alle scuole medie e ricordo che prendevo tre mezzi per andare ad allenarmi a via della Pisana. Era faticoso ma davvero divertente. A 14 anni mi sono trasferito a Mentana dove il livello tennistico non era molto alto e per uno che veniva da Roma e dall’agonistica non c’era molta competizione. La mia carriera tennistica fu stroncata da questo trasferimento ma in un certo senso fu la mia fortuna perché iniziai a suonare e a scrivere canzoni nell’isolamento della campagna: posto molto bello ma non proprio adatto ad un adolescente.
Come autodidatta?
Sì. Rubavo accordi ad amici più grandi, ascoltavo dischi, mi compravo libri su James Taylor, Neil Young, Bob Dylan e imparavo a suonare su queste canzoni.
Quando ti sei esibito la prima volta davanti ad un pubblico?
Ho iniziato come artista di strada insieme ad un mio amico che si chiama Mario Amici. Suonavamo a piazza Navona l’estate quasi tutte le sere. Poi abbiamo iniziato a viaggiare in giro per l’Europa con le nostre chitarre e in seguito nei locali qui a Roma. Il primo appuntamento importante fu quando vinsi Castrocaro e partecipai di diritto a Sanremo nel 1981 con la canzone Roma Spogliata: a neanche vent’anni mi ritrovai catapultato in questo fantastico mondo della canzone pop ma era l’ultima cosa che avrei immaginato.
Perché? Non era il tuo desiderio?
Il mio desiderio era far ascoltare le cose che iniziavo a scrivere, non avevo rapporti con il Festival di Sanremo perché ero molto americano a Roma: i miei idoli erano Bob Dylan, Jackson Browne, Carly Simon; così come cantautori italiani che con Sanremo non avevano avuto rapporti: De André, De Gregori, Bennato. Mi si aprì comunque questa porta e naturalmente fu per me una grande gioia.
Qui hai capito che la musica sarebbe stata la tua vita?
La musica era già la mia vita. A differenza dei ragazzi di oggi che forse hanno un rapporto più consapevole con il successo grazie ai talent, alla televisione, ai social, noi non avevamo come aspirazione quella di avere successo. La musica era il nostro modo di vivere. Poi certo, quando la popolarità arriva è la benvenuta ma non era l’obiettivo.
Come nasce una tua canzone?
È sempre molto difficile saperlo, se lo sapessi ne scriverei di più! Indubbiamente ognuno di noi ha un suo modo di filtrare le sensazioni, di incamerarle e ributtarle fuori in determinati momenti. Ho una memoria abbastanza fotografica, ho lavorato per immagini e raccontato in modo quasi cinematografico: mi riferisco ad esempio a Roma Spogliata, a Come dentro un film, a Via Margutta, a determinati spaccati che io vedevo. Roma Spogliata non è altro che un pomeriggio passato in giro per Roma. Vivevo molto la strada rispetto alle generazioni di oggi che stanno molto più chiusi dentro casa e fanno della tv la loro finestra sul mondo. La strada era la nostra scuola, la nostra palestra e un’ispirazione. Le nostre storie venivano dal nostro continuo vagare.
Hai mai avuto il blocco o la paura del blocco dello scrittore?
Sì, ce l’ho tutt’ora ed esiste. La scrittura molti l’hanno idealizzata ma è un lavoro che richiede continuità. Non bisogna mai perdere il contatto con la propria vena creativa perché le cose migliori vengono dopo tanti tentativi, anche falliti. A volte purtroppo dai talent viene fuori un’immagine in cui il nostro lavoro è concepito come una sorta di lotteria dove tutti possono vivere il loro quarto d’ora di popolarità. Non è una polemica contro i talent, anche perché è stato ampiamente dimostrato che da queste trasmissioni escono bravi cantanti ma non vorrei che passasse il messaggio che uno si sveglia la mattina e, dal nulla, decide di diventare musicista quando fino al giorno prima faceva tutt’altro.
Torniamo allo sport. Continui a giocare a tennis ma sei anche capocannoniere Nazionale Cantanti di calcio, giusto?
Sì! Ancora nessuno è riuscito a superare il mio record di 240 gol! È un’avventura meravigliosa e un caso unico. Di solito gli artisti si mettono insieme per un singolo evento benefico e poi ognuno torna alla propria vita; un gruppo di artisti che sta insieme a scopo benefico da 36 anni non si è mai visto… ovviamente con ricambi! Ogni decennio ha avuto i suoi: negli anni ’60 e ‘70 Mogol, Morandi e Tozzi; poi c’è stata la sfornata negli anni ’80 di Ramazzotti, Ruggeri, io stesso; gli anni ‘90 con Ligabue, Antonacci, Carboni fino ad arrivare a Niccolò Fabi, Max Gazzè, Alex Britti… insomma una bellissima avventura che negli ultimi anni si è ingrandita molto.
L’avversario più ostico?
Abbiamo avuto sfide molto agguerrite sia con la nazionale piloti che con i giornalisti Rai.
Un tuo compagno che non vorresti avere come avversario?
Moreno (un rapper, ndr), un vero e proprio bomber, un calciatore mancato.
Che cos’altro vuoi fare da grande?
Un giorno o l’altro scriverò un po’ di racconti che riguardano tutto quello che ho avuto la fortuna di vedere, tutte le cose belle che mi sono capitate, i grandi personaggi che ho conosciuto. Poi vorrei scrivere qualcosa per il cinema: dei soggetti, delle storie e delle colonne sonore.
Qual è stato il personaggio che ti ha emozionato di più?
Bruce Springsteen e James Taylor, uno dei miei idoli da giovane. Le volte però in cui mi sono sentito davvero fortunato è quando ho incontrato dei veri amici: Neri Marcorè, Gianni Morandi, De Gregori, Fiorella Mannoia, Max Gazzè, Niccolò Fabi, Enrico Ruggeri: amici di grandissimo talento con i quali c’è un rapporto che non si limita all’ospitata in radio (dal 2010 conduce Radio Due Social Club, ndr), piacevolissima, ma che va oltre. Ecco, la vera fortuna nella vita di un uomo, oltre la famiglia, è avere molti amici.
Un consiglio per un giovane musicista?
I grandi artisti sono quelli che non ascoltano consigli e che fanno di testa loro e per questo spiazzano e sorprendono. L’unico suggerimento che posso dare è di suonare tanto, di fare tanta esperienza suonando dal vivo e andare in giro per il mondo non inseguendo necessariamente la popolarità ma la propria passione.
Se non avessi fatto il musicista che cosa avresti fatto?
Avrei aperto un circolo di tennis! Scherzi a parte, credo che avrei comunque fatto un mestiere legato alla scrittura. Comporre qualcosa di mio. Avere un rapporto con la parola scritta.